Le sue considerazioni e riflessioni sulla terza età
Mi è stato chiesto da numerosi amici e conoscenti come vivo la vita di pensionato dopo una lunga esperienza di vita sociale, familiare e politica ed ho sempre così risposto:
Ho 86 anni e sono un Professore di ruolo in pensione degli Istituti Tecnici Statali Superiori. Sono sposato in Chiesa cattolica ed ho una moglie, 4 figli e 6 nipoti. Ho avuto la fortuna di avere avuto Direttori Didattici, maestre e maestri e bravi Presidi e Professori e Professoresse durante tutta la mia formazione professionale. Come nella mia attività di docente ho incontrato anche illustri presidi e colleghi, ma soprattutto numerosissimi alunni/e, ai quali spero di aver trasmesso non solo il sapere e l’amore per le cose belle, ma anche i comportamenti necessari per la convivenza civile e per affrontare la vita: cioè la coscienza del valore dell’essere, rispetto all’avere, al produrre, e senza tema di smentita ho incontrato e incontro spesso numerosissimi ex alunni/e che si sono affermati nella vita e che hanno messo su famiglia, ispirandosi a quei valori di fede, di speranza, di conoscenza, di coscienza, di amore per la vita e per il prossimo che insieme ai loro genitori sono riuscito ad inculcare nei loro animi ed occupando anche prestigiosi posti nella vita civile e militare perché la scuola educa e forma le coscienze nella ricerca continua della sapienza e della scienza ed i risultati si vedono nel futuro.
Mi fermo qui, anche perchè non ho vissuto la mia vita solo nella scuola, ma anche nel sociale e nella politica come cultore della libertà, della democrazia e della giustizia, intendendo la politica come servizio sociale per il bene dei cittadini con l’obiettivo di costruire sempre il bene comune.
Ebbene chiarire una volta per tutte che tutti gli uomini sono indispensabili alla comunità a cui appartengono a prescindere dall’età, dal sesso, dalla razza e dalla religione. Essi infatti sono piccole tessere di un mosaico, opportunamente accostate, che formano un disegno armonico, solo così gli esseri umani si completano a vicenda, non solo svolgendo attività diverse e confacenti alle capacità ed alle attitudini individuali, ma anche dando vita ad una società nella quale ciascun individuo ha un ruolo ben preciso da svolgere. Un medico, un insegnante, un artigiano, un giornalista, un commerciante, un agricoltore, un marittimo, un imprenditore, un ingegnere, un vescovo, un prete, una suora, un politico, un tecnico hanno tutti un dovere da compiere, una responsabilità da assumersi, degli ostacoli da superare e ciascuno di essi alla fine della giornata deve rendere conto di come ha impiegato il suo tempo. Sicuramente ognuno proverà soddisfazione non inferiore a quella dell’altro, perché tutti sono utili alla società. Le capacità di un abilissimo dirigente d’azienda rimarrebbero inutilizzate se non ci fossero validi tecnici ed operai che realizzassero i suoi progetti; e così in ogni campo ogni uomo ha bisogno dell’altro per realizzare grandi opere.
La mia esperienza da pensionato, che vive ancora a contatto con la gente e con le scommesse quotidiane di una società in continua e dinamica trasformazione, mi porta a guardare con simpatia tutte le novità che emergono e a coniugarle con le necessità della vita sociale, politica e famigliare.
Abbandoniamo una volta per sempre lo stereotipo del pensionato che vive in panciolle e che si estranea dalla vita quotidiana, perché soddisfatto di aver dato alla società gli anni migliori e che ora si deve godere la propria pensione. Forse gli altri ci vorrebbero così, ma non lo vogliamo noi, perché questa sarebbe una forma di egoismo che non si addice al cristiano, uomo di fede, di servizio e di speranza, il quale, invece, dovrebbe essere un continuo testimone della fede in ogni campo pensando che Dio stesso vuole da noi sempre ulteriori prove e testimonianze. Anche perché oggi la popolazione si invecchia sempre di più e se il corpo per necessità di cose si va disfacendo, la grande ricchezza di amore e di altruismo che è in noi, potrebbe spingerci verso nuovi orizzonti, nuovi cieli e nuove terre per la Gloria di Dio, dei nostri fratelli e di noi stessi.
La nostra fede, alimentata dalla preghiera e dalle opere buone, deve essere un esempio per gli altri. Dio renderà merito a ciascuno di noi, se saremo capaci di alleviare il dolore e le sofferenze altrui, se saremo capaci di una carezza e di un sorriso, se saremo capaci di trasformare le nostre paure in fiducia, le nostre attese in speranza, le nostre sofferenze in crescita, le nostre crisi in maturità, la nostra rabbia in preghiera, le nostre sconfitte in resurrezione.
È bene ribadire che ogni momento dell’esistenza è un dono di Dio e che ogni stagione della vita umana ha le sue specifiche ricchezze da mettere a disposizione di tutti. Per cui ognuno deve impiegare il suo tempo che ha a disposizione, aprendosi all’aiuto ed al sostegno verso gli altri, specialmente attraverso le opere di carità e di solidarietà verso quanti sono nel bisogno. Gli anziani così possono svolgere un compito veramente prezioso, perché essi sono spinti a condividere con i giovani la saggezza accumulata con l’esperienza, sostenendoli nella fatica di crescere e dedicando loro tempo ed attenzione nel momento in cui si aprono all’avvenire e cercano la propria strada nella vita. Perciò non ci deve essere nessuna conflittualità tra generazioni. Anzi bisognerebbe sempre coinvolgere gli anziani nella realtà socio-economica e culturale delle comunità. Per fare questo è necessario che si instauri un patto leale tra giovani e anziani, in modo tale che l’esuberanza e la vitalità degli uni si armonizzi con la pacatezza degli altri attraverso un continuo dialogo costruttivo e che il ricambio generazionale avvenga con gradualità e dopo aver acquisito un bagaglio di esperienze nel settore in cui il giovane intende operare. Il nuovismo a tutti i costi non giova a nessuno e tampoco alla società che richiede sempre professionalità, capacità e cultura. L’anzianità non è dunque un tempo di decadimento, di rinuncia, di chiusura; è un tempo diverso, certo, ma non meno fecondo ed importante per sé e per gli altri. L’anzianità non è quindi una disgrazia, ma una grazia, una risorsa da utilizzare, una ricchezza e non una povertà. Pur nei suoi limiti ed acciacchi l’anzianità è sempre un dono di Dio, l’occasione di una maturità umana e spirituale, di una testimonianza di fede e di valore da offrire ai giovani. Ogni fascia di età deve avere un ruolo indispensabile per lo sviluppo armonico di questa società. Ogni persona, infatti, va considerata una risorsa per il suo apporto personale ed insostituibile al progresso stesso della comunità in cui vive. Serve oggi una nuova antropologia dei periodi di vita nei momenti in cui l’invecchiamento della popolazione per la prima volta è un fenomeno generalizzato rispetto a qualche decennio fa. L’anzianità è sempre esistita ma solo nel nostro tempo ha costituito un “fenomeno di massa” per usare un’espressione sociologica. Tutto ciò ha alterato profondamente equilibri millenari e ne consegue la necessità di rimettere in discussione la struttura economica, l’organizzazione sociale, la visione del ciclo della vita, il sistema delle relazioni interpersonali e intergenerazionali. La realtà attuale si configura sempre più secondo un modello che vede una lunga giovinezza, una contratta vita adulta e una lunga anzianità, mentre le nostre istituzioni sociali continuano ad operare come se la realtà fosse quella precedente.
È necessario che ciascun periodo vitale metta in gioco i propri diritti, ma anche i propri doveri, le proprie esigenze e le proprie potenzialità.
Urge, perciò, un patto intergenerazionale per la maturità sociale in cui ogni componente deve interagire. Al mondo anziano spetta la sua parte nel grande gioco della convivenza. Per questo motivo gli anziani devono prendersi lo spazio per dare segnali riconoscibili di vita attiva. Non si può pensare che il “patto” nasca dagli altri tanto più se il mondo anziano è percepito ancora come un “problema” o un ”caso” soltanto da tutelare più che una risorsa da utilizzare, valorizzare e sfruttare.
Non bisogna aver paura se il ritmo della vita oggi è dominato dalla funzionalità economica che determina la discriminazione di tutti coloro che dal mondo della produttività e del consumo sono usciti come anziani. Una errata concezione del lavoro come momento esclusivo di realizzazione umana, ha prodotto una caduta di attenzione nei confronti del tempo dedicato ad un approfondimento culturale e spirituale.
Attualmente se l’anzianità è fatta oggetto di attenzione sociale, lo è sotto l’aspetto assistenziale. Questo è un modo errato di concepire l’anzianità, perché l’età anziana non è sinonimo di malattia. Va, a mio giudizio, superato lo stereotipo sociale che vede la persona anziana come una persona che non è più nella tensione del vivere, dimenticando che si cresce fino al momento della morte, di per sé stessa un ulteriore crescita. L’età anziana, libera in genere da legami vincolanti di tempo, favorisce l’interesse per altre attività: la formazione culturale, spirituale, artistica, l’impegno verso gli altri, per approfondimento dei rapporti; momenti significativi dell’esperienza umana che concorrono a dare piena espressione al bisogno di identità della persona in tutte le fasi della vita.
Il tempo dell’anzianità è tempo di vita significativa, espressione della propria personalità e spiritualità, come peraltro dovrebbero essere tutte le fasi della vita umana. Però per l’anziano è il tempo per riorganizzare la propria vita, ponendo a frutto l’esperienza e le capacità acquisite.
Se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno.
La giovinezza o rigenerazione, di cui parla l’apostolo Paolo, non è quella ottenuta con operazioni di lifting o speciali creme di bellezza, ma è la conoscenza della Verità assoluta: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove.”
Prof. Walter Laganà
Sindaco Emerito di Monopoli