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Monopoli, il 13 maggio l’ultima di RADAR PLUS: arriva Federico Buffa

Sul palco del teatro di Monopoli lo spettacolo “DUE PUGNI GUANTATI DI NERO”

Sabato 13 maggio, va in scena il quinto ed ultimo spettacolo della rassegna “RadarPlus”, la rassegna organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Monopoli per la produzione di Naturalestatocaotico (NSC). Sul palco del Radar Federico Buffa, giornalista sportivo, ma anche eccezionale narratore di vicende che attraverso lo sport permettono una lettura storica e sociale del mondo che ci circonda. “Due pugni guantati di nero” è la fotografia di un evento sportivo, la finale delle olimpiadi di Ciattà del Messico del 16 ottobre 1968, divenuta l’immagine di come lo sport, in silenzio, con messaggi pacati e iconici possa diventare veicolo di battaglie sociali importanti.

La storia di tre uomini, due bianchi ed un nero, tutti corridori, finiti a scalare le posizioni del podio dei 200metri, e da quell’altezza chiamati a mandare un messaggio forte di rispetto e giustizia.

Si alzerà il sipario del Radar, alle ore 21.00 di sabato 13 maggio, per raccontare col piglio del telecronista ma anche con la forza di temi musicali potenti (sul palco con Buffa il pianista Alessandro Nidi) una pagina di storia dello sport e dei diritti umani.

FEDERICO BUFFA

Federico Buffa (Milano, 28 luglio 1959) è un giornalista, e telecronista sportivo italiano. Oltre alla sua attività di telecronista di basket e commentatore sportivo, Buffa ha condotto alcune trasmissioni antologiche sempre a tema sportivo, nelle quali ha dimostrato – secondo Aldo Grasso – di “essere narratore straordinario, capace di fare vera cultura, cioè di stabilire collegamenti, creare connessioni, aprire digressioni” in possesso di uno stile avvolgente ed evocativo.

DUE PUGNI GUANTATI DI NERO – LO SPETTACOLO

Con Federico Buffa e Alessandro Nidi – pianoforte

E’ una delle immagini più famose del Novecento, quella in cui Tommie Smith e John Carlos si trovano sul podio dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico, il 16 ottobre 1968, con i pugni alzati, i guandi neri (simbollo del black power), i piedi scalzi (segno di povertà), la testa bassa e una collanina di piccole pietre al collo (“ogni pietra è un nero che si batteva per i diritti ed è stato linciato”). Smith e Carlos facevano parte dell’Olympic Project for Human Rights e decisero di correre alle Olimpiadi nonostante il 4 aprile Martin Luther King fosse stato assassinato (e molti altri atleti avessero deciso di non partecipare).

Tommie Smith arrivò primo (stabilendo il nuovo record mondiale dei 200 metri), Carlos terzo. Su quel podio salì sul secondo gradino Peter Norman, un australiano che per solidarietà con i due atleti afro-americani indossò durante la cerimonia la coccarda dell’Olympic Project for Human Rights.

Bisogna sapere che nel ‘67 Harry Edwards, sociologo a Berkeley, voce baritonale, discreto discobolo, ha fondato l’Ophr, Olympic program for Human Rights. L’idea è che gli atleti neri boicottino i Giochi ma è difficile da realizzare. Chi aderisce porta il distintivo, una sorta di coccarda, ed è libero di manifestare la sua protesta come crede. Smith e Carlos, accolti alla San José perché bravi atleti, a loro volta studenti di Sociologia, portano il distintivo e vogliono manifestare.

Appena giù dal podio la loro carriera sarà finita, bruciata, e la vita un inferno.

Vengono cacciati dal villaggio, Smith e Carlos. Uno camperà lavando auto, l’altro come scaricatore al porto di New York e come buttafuori ad Harlem. Sono come appestati. A casa di Smith arrivano minacce, l’esercito lo espelle per indegnità. A casa di Carlos minacce telefoniche ad ogni ora del giorno e della notte. Sua moglie si uccide. Solo molti anni dopo li riprenderanno a San José come insegnanti di educazione fisica. E nel 2005 Norman sarà con loro per l’inaugurazione di un monumento che ricorda quel giorno in Messico.

Non erano due neri ed un bianco a chiedere rispetto e giustizia su quel podio, erano tre esseri umani.