Il ricordo della nipote Antonella Alba
Da ragazza la chiamavano ‘la pantera’ perché aveva lunghi capelli neri e occhi da gatto e perché in lei erano contenuti la classica bellezza mediterranea e una personalità forte e intraprendente. Sempre ben vestita e curata, ci teneva a fare bella figura, le piacevano gli abiti belli e di quella bellezza andava fiera come tutte le donne che avevano quella fortuna.
Così era mia zia Cecilia Zaccaria, negli anni ’60 quando ammiravo le sue foto da piccola e ancora dopo, quando nei ’70 si prese cura dei nipotini figli delle sorelle e soprattutto di me, di mia sorella Gisella e mio cugino Vito. “Io vi ho cresciute” diceva sempre “mi chiamavate mamma, ma io vi ricordavo che la vostra mamma era a scuola ad insegnare”. La professoressa Gianna Zaccaria sua sorella più piccola era legata a lei da un sentimento che andava oltre la sorellanza. Vivevano sullo stesso pianerottolo e tra loro c’era tutto: amore ma anche critiche feroci, parole e consigli di vita che ho sempre tenuto a mente: “il lavoro è la prima cosa, ti rende autonoma”, dicevano. Una grande lezione di femminismo che ho capito qualche anno dopo.
Penultima di otto figli, si sposò nel 1973 ‘da grande’ dicevano: aveva 33 anni quando decise di legarsi all’uomo che le sarebbe stata accanto tutta la vita, zio Francesco, titolare della Scuola Guida Mangini tra le prime della città di Monopoli, oggi gestita dal figlio Ivan. Lei che era stata tra le prime a guidare un’automobile, una Cinquecento compratale dal padre Vito Zaccaria che abitava a Contrada Due Torri, detto ‘Zoccarabell’, un contadino di sani principi morto a soli 69 anni per un male incurabile.
Con quella 500 mostrò sin da ragazza tutto il suo desiderio di autonomia che più tardi la portò a fare l’imprenditrice di se stessa. Come sua madre prima di lei, aveva deciso di cucire abiti per signora. Quanti vestiti aveva visto nelle riviste e “al mercatino delle robe americane” che arrivavano al Sud dopo la guerra, ”alcuni con spille meravigliose ancora appuntate”. Di quegli abiti voleva ‘rubare’ l’eleganza e il fasto e spesso ci riusciva con la figlia Pamela che le faceva da modella, più alta di lei di almeno 10 centimetri. Il colore prediletto il rosso, ma anche il celeste. Negli anni ottanta la svolta creativa: con una stoffa di jersey trovata al famoso mercato del Martedì di Monopoli decise di realizzare un costume da bagno. Mi chiamò per provarlo, avevo 15 anni, Pamela aveva solo 12 anni, erano già gli anni ’80. Era perfetto, del colore del mare. Lo misi in spiaggia subito: quante ragazze potevano esibire un costume fatto su misura? Fu un successo! Le amiche mi chiesero dove lo avessi comprato, in fondo era un pezzo unico e in pieno spirito edonista. Fece notizia.
Tutte le mie amiche andarono almeno una volta dalla “Signora dei costumi”, poi la voce si sparse anche fuori dalle spiagge del Capitolo arrivando oltre Bari e provincia. Insomma il suo telefono diventò quello di un atelier ambito e prezioso gestito da una monopolitana dalle mani d’oro. Chi non voleva un costume fatto su misura? “Faccio prezzi politici, ma a modo mio” disse una volta quando arrivò persino a cucire per le figlie di noti imprenditori baresi della pasta. Era felice e lavorava tanto. Sempre nella sua stanza con la macchina da cucire o l’ago in mano. Io che le abitavo accanto passavo interi pomeriggi a parlare con lei durante le pause dai miei libri, qualche volta le chiedevo un orlo.
Durò a lungo e quando smise per la stanchezza ne parlavamo sempre. “Tu eri la mia Barbie”, mi diceva prendendomi in giro. E quando mi vedeva soffrire per lo studio o per amore diceva sempre la stessa cosa “Vestiti, metti un po’ di rossetto ed esci”, in realtà era “’nzippit e/i iss” nella versione dialettale che non so scrivere.
Negli anni le chiacchierate si sono fatte più sporadiche anche a causa del mio trasferimento a Roma, ma ci sentivamo spesso per telefono. Negli ultimi anni aveva deciso di trasferirsi nella casa di campagna che era stata del padre “Ora sono un’imprenditrice agricola, sono Coldiretti” diceva fiera, mentre di mattina presto si infilava gli stivali di plastica e il pomeriggio fino alla fine l’ho vista prendersi cura dei suoi nipotini uno alla volta: Francesco, Milly, Christian. Fu lei qualche anno fa a telefonarmi per prima dopo avermi vista in conduzione al telegiornale di Rainews24, la mattina presto. “Pronto Antonella? sono la zia Cecilia, bella quella giacca rossa di stamattina!”
Zia ci siamo amate davvero e mi mancherai. Questo solo posso dirti.
Antonella