Quest’oggi, il nostro affezionato lettore Franco Muolo esprime alcune sue considerazioni a riguardo della Xylella, ponendo un interrogativo: “siamo sicuri di dovere per forza combattere la moderna imperante malattia degli uliveti dando colpa agli infittimenti e alle scarse buone pratiche agricole, e nessunissima responsabilità alle plastiche indiscriminatamente impiegate in agricoltura?”.
Gentile Direttore,
circa una ventina d’anni fa, viaggiando in treno sulla tratta Bari-Monopoli, mi capitò di leggere uno scritto anonimo, stampato su un foglietto di carta intestata col simbolo del WWF e Birdlife International, da cui appresi che la moderna pratica agricola dell’infittimento dei vecchi uliveti produrrebbe notevoli danni alle coltivazioni, renderebbe arido il suolo e imbruttirebbe il paesaggio. Condizioni negative che comincerebbero a far scomparire uliveti secolari e habitat naturali – sempre secondo lo scritto – in Puglia, in Andalusia, nell’isola di Creta, e comunque in zone dov’è fiorente l’olivicoltura intensiva.
Non potendo fare a meno di osservare il nostro paesaggio dai finestrini del treno in corsa, mi venne in mente una frase che mio suocero, già ultraottantenne, amava ripetere ogni qualvolta piantava una giovane pianta di olivo nel bel mezzo del suo vecchio uliveto: “lo faccio per consentire la sopravvivenza delle future generazioni”. Continuando a guardare fino alla fine del viaggio, notavo che gli unici squarci di “brutto”, perpetrati dall’uomo ai danni della nostra campagna, erano quelli provocati dall’inserimento dei vigneti a tendone. Sempre più voraci di acqua e coperti da orribile plastica bianca, sembravano voler attirare di più e diffondere tutt’intorno i raggi del sole, come fossero degli specchi ustori di antica leggenda (Archimede li usò contro le navi romane nemiche, da noi sembrano voler bruciare gli uliveti secolari circostanti).
Ma l’olivo, oggi, nonostante la avanzante infestazione della Xylella, si difende bene. Infatti i molti tentativi di abbandono, visibili lungo la linea ferroviaria, sembravano non avere fortuna: l’olivo abbandonato a se stesso non muore mai. Anzi si “inselvaggisce”, combattendo con tutte le sue forze, emettendo polloni sempre più giovani dalla base del suo poderoso apparato radicale. Così facendo assicura più ombra e quindi più umidità al suo substrato, trasformandosi in un enorme cespuglio. E se si trova sulla stessa visuale di un moderno fabbricato ne ingentilisce l’estetica migliorando il contesto ambientale.
L’interrogativo che sorge spontaneo è: siamo sicuri di dovere per forza combattere la moderna imperante malattia degli uliveti dando colpa agli infittimenti e alle scarse buone pratiche agricole, e nessunissima responsabilità alle plastiche indiscriminatamente impiegate in agricoltura?Franco Muolo