La vita di Virginia Piepoli

Il ricordo del nostro affezionato lettore Franco Muolo di sua cognata

Gentile Direttore,

Le opere inedite di Corrado Giaquinto, provenienti dalla collezione Piepoli-Spadavecchia, sono esposti presso il Museo diocesano di Molfetta, donate da Virginia Piepoli su sua espressa volontà testamentaria prima di morire. Mi consenta di pubblicarne il profilo anche qui a Monopoli, sua città natale per commemorarne il ricordo.

“Virginia ha consegnato la sua anima a Dio, il quale certamente l’ha portata con sé nel luogo riservato ai suoi servi e serve fedeli“: sono state le parole conclusive del commovente cordoglio del fu S.E. Luigi Martella, Vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, inviato in una missiva a noi familiari durante la celebrazione della S. Messa nella chiesa del Carmine di Monopoli nel trigesimo della sua dipartita, avvenuta il 7 marzo 2014.

Virginia ci ha lasciati all’età di 82anni, dopo aver trascorso la prima metà della sua vita con la sua famiglia a Monopoli, dove nacque, e la seconda metà a Molfetta vissuta gran parte in compagnia dell’illustre oculista prof. Vitangelo Spadavecchia, il quale l’adorava per la sua magnanimità d’animo e che, quasi certamente, ne aveva individuato il mezzo più sicuro per destinare dopo la sua morte al Museo della locale diocesi i numerosi disegni e bozzetti del Giaquinto, e altro preziosissimo materiale artistico di inestimabile valore, conservati di generazione in generazione nella sua grande casa-studio di corso Umberto. Donazione iniziata alcuni mesi prima della morte di Virginia e confermata con la sua espressa volontà testamentaria, la cui inaugurazione avvenne il12 giugno 2014 presso l’Auditorium “A. Salvucci” dello stesso Museo.

Ma di mia cognata, delle sue pene e delle sue gioie, vorrei raccontare un aneddoto, una testimonianza che, avendola vissuta personalmente, sa di miracoloso.Prima del fatidico incontro con il prof. Vitangelo Spadavecchia, avvenuto tra l’altro casualmente nel suo ambulatorio di Molfetta verso la metà degli anni Sessanta, Virginia, gracile e quasi trentacinquenne, era affetta da una grave malattia, incurabile per quei tempi, il linfogranuloma maligno o morbo di Hodgkin. Tutti i tentativi di debellare quel male furono inutili, tanto che nemmeno il centro tumori, l’ospedale “Regina Elena” di Roma, ultimo ricovero tentato, e lì da me condotta in auto in condizioni pietose, si rivelò vano. Sennonché, poco tempo dopo aver conosciuto l’oculista di Molfetta, il quale aveva già telefonato (qui sta il miracolo) a un suo amico collega svizzero (ricordo ancora il nome: dr. Albertò) operante presso l’ospedale cantonale di Ginevra, pregandolo di visitare Virginia. Immediatamente, il prof. Spadavecchia mi pregò di mettermi alla guida della sua automobile e partimmo con Virginia per la Svizzera. Giunti in quell’ospedale, venne immediatamente trattata con un farmaco in via sperimentale che lì importavano dagli Stati Uniti d’America.

Dopo appena una settimana di trattamento, ai medici ospedalieri sembrò che la malattia fosse in regressione. Perciò fu dimessa subito dopo, giacché non c’era più necessità di ricovero in quanto quella cura la poteva continuare benissimo in Italia. Avendo fatto una buona scorta di medicinali (pillole da assumere per via orale) facemmo il viaggio a ritroso. Con un particolare: alla frontiera di Chiasso fummo fermati dai doganieri che, rovistando in macchina, pensarono che trasportassimo droga, ma tutto fu subito risolto con un giro di telefonate. Ritornammo dopo circa tre mesi a Ginevra e il controllo dette esito felice: il morbo di Hodgkin era stato bloccato.vDopo quella brutta parentesi, la vita di Virginia cambiò completamente in meglio. Si vollero bene fino alla morte del professore avvenuta alla fine degli anni Novanta. Non dimenticando mai che tutta la preziosa collezione del Giaquinto, prima della sua dipartita, doveva essere destinata al godimento collettivo. Ciò onora la memoria sua e delle famiglie Piepoli e Spadavecchia.

Franco Muolo