Nel territorio di Monopoli, a mia memoria, è sempre esistita una rivalità politica latente tra la città e la campagna. Che dura tuttora. Lo si notava specialmente durante le competizioni elettorali, caratterizzate da candidati espressi come rurali “furbi” contrapposti a civici “intelligenti”. Forse perché il nostro agro è costituito da un vasto e ameno territorio, più unico che raro, in cui coesistono una dozzina di popolose contrade, abitate stabilmente da oltre un terzo della popolazione complessiva comunale. Praticamente vi dimorano più di quindicimila persone che, in media, fanno circa 1300 individui per ogni contrada, senza contare villeggianti e vacanzieri che d’estate raddoppiano.
Nel nord Italia, centri simili si chiamano Comuni e sono amministrati, singolarmente o raggruppati, come se fossero piccole città. Mentre da noi la situazione politico-amministrativa è rimasta la stessa di mezzo secolo fa, ad eccezione di alcune opere idrico-fognarie eseguite dall’Acquedotto pugliese finanziate dalla Cassa del Mezzogiorno, unitamente all’elettrificazione delle contrade che ci fu a seguito della nazionalizzazione dell’energia elettrica (1962). Pertanto sono rimaste prive delle più importanti reti della fognatura dinamica e del gas metano (tanto per citare soltanto alcuni dei principali servizi che necessitano a una convivenza civile come nelle città).
Ciò considerato, allo stato, escludendo la fascia costiera, ci ritroviamo con un territorio extraurbano, perlopiù collinare, già molto urbanizzato e privo dei suddetti servizi essenziali, ma con l’ultimo piano urbanistico generale che prevede estesissime zone per ville e villette nelle cosiddette aree residenziali, disegnate dai precedenti prg, e rimaste tali da cinquant’anni, tutt’intorno a quei caratteristici centri di contrade, senza che nessun politico si sia mai posto il problema del gran consumo di territorio che si prospetta se la gran colata di cemento dovesse continuare negli anni avvenire. Centinaia e centinaia di ettari di quelle fertili terre, una volta edificate, farebbero sorgere l’equivalente di una Monopoli Due dove, senza quei servizi, si verrebbero a creare grossi problemi igienico-sanitari, oltre che logistici e sociali di civile convivenza, fra quelle aree e le confinanti zone agricole. Il degrado che ne affiorerebbe non sarebbe da meno di quello che succede nelle altrettanto degradate periferie delle grandi città. Ce n’era proprio bisogno? Direi proprio di no! Visto che quelle “placche” edificatorie, disegnate già a dismisura sia dal primo piano regolatore Capitanio-Martino negli anni sessanta, sia dal prg Piccinato nel 1975 e confermate ultimamente dal Pug Oliva, non hanno avuto sostanzialmente effetto (si stima fortunatamente per un buon 80percento della superficie complessiva) durante tutto il tempo trascorso finora. Non vedo come possano essere riempite ora di manufatti a vendere, contravvenendo allo spirito previsionale originario, che fu quello di dare agli agricoltori di quelle stesse contrade la possibilità di costruirsi soltanto una casa propria in loco.
Con l’introduzione dell’Imu in quelle aree virtualmente residenziali, la civica amministrazione potrebbe cercare ancora di assecondare tale situazione vessatoria accentuando quella rivalità fra popolazione rurale e popolazione urbana che andrebbe tutta a danno dell’ambiente e della vivibilità stessa di quelle antiche contrade. E che andrebbe a gravare pure sulla città, anche se si dovessero lontanamente realizzare quei servizi essenziali comunque necessari. Costosissimi per il bilancio comunale. Ma che, proprio a causa della persistente crisi economica, non vedo proprio come si potrebbero attuare. Ne discende che, se non dovesse cambiare a breve la politica urbanistica territoriale (attualmente tesa a distruggere paesaggio e ambiente) la rivalità sociale suddetta continuerebbe ad aumentare non solo a danno della stessa popolazione rurale ma anche a scapito di quella urbana.
Franco Muolo